Riapre dopo vent’anni di lavori la Biblioteca di Sarajevo. E un passato di orrori di guerra e speranze di pace riaffiora dal ricordo della avventurosa manifestazione pacifista “Mir Sada”, una iniziativa che porta circa 2.000 persone, fra cui chi scrive, ad inoltrarsi nella Bosnia del 1993.
Anno 1993. In Italia le notizie sui crimini di massa e le epurazioni etniche al di là dell’Adriatico scivolano in quarta pagina sui giornali italiani alle prese con lo sgretolarsi della prima repubblica sotto le inchieste di Tangentopoli. Ma in quella calda estate un gruppo internazionale di pacifisti si muove autonomamente per arrivare simbolicamente a Sarajevo.
Il mio ricordo è supportato da questo documento filmato ritrovato in rete.
Si chiama “Mir Sada”, Pace Subito. Un appello, un grido di fronte a un mondo troppo impegnato in qualcos’altro per fermare lo scempio in atto nella ex-Jugoslavia. La organizzano i padovani “Beati Costruttori di Pace” e l’associazione umanitaria francese “Equilibre” che assume il coordinamento logistico e dell’assistenza medica. L’iniziativa ottiene in pochi mesi l’adesione di pacifisti di mezza Europa, ma anche statunitensi, canadesi, uruguaiani, messicani, giapponesi e tantissimi italiani in rappresentanza di realtà della società civile come Acli, Associazioni per la pace, Arci, Gruppo Abele, Pax Christi e molte altre.
L’appuntamento è in un grande hangar del porto di Ancona, il 2 agosto 1993. Temperature record e 1200 pacifisti pronti a sbarcare a Spalato e ad affrontare subito le prime difficoltà: per l’intensificarsi degli scontri tra croati e musulmani lungo la strada per Sarajevo le autorità croate rifiutano i dodici pullman a suo tempo promessi e le trattative si protraggono per due giorni.
Nel frattempo conosco un giovane giornalista inviato de “La Stampa”, Massimo Gramellini, insieme al quale raccogliamo spunti per i suoi reportage che poi trascrive spedisce via fax o detta alla redazione dal campeggio di Spalato dove siamo alloggiati e dove di sera Don Albino Bizzotto, presidente dei Beati, organizza momenti di condivisione delle notizie in arrivo dai luoghi di conflitto.
Di fianco a me, con tappetino e sacco a pelo, dorme un signore che avrà 70 anni che scoprirò essere Monsignor Bettazzi, allora vescovo di Ivrea, che vent’anni dopo fu indicato anche tra i papabili per il dopo Ratzinger, sul quale si dimostrò essere molto informato sulle imminenti ’dimissioni’ e qui Bettazzi parla anche di quelle future di Papa Francesco.
È il quarto giorno di attesa. All’accampamento il rientro di una delegazione partita per Sarajevo per ottenere una temporanea tregua fra i contendenti e garanzie sulla sicurezza del percorso torna con notizie non positive. Attorno a Gornji Vakuf si è ripreso a sparare e il responsabile di Equilibre, Pierre Laurent, riferisce che i rappresentati militari incontrati hanno dato l’ordine di andarcene subito e che per Sarajevo non godremo di nessuna protezione.
Don Bizzotto cerca di tenere unito un gruppo molto eterogeneo di pacifisti oltranzisti che non si rassegnano e che 58 oltranzisti si distaccheranno dal gruppo per continuare da soli verso Sarajevo, mentre altri torneranno in Italia.
Dopo molte trattative, a Mir Sada viene concesso di proseguire l’iniziativa verso Mostar, divisa in due e la cui parte est, avvolta dalle colline, è bombardata dai croato-bosniaci che controllano la parte ovest. L’ingresso in città sarà consentito a solo 10 pullman fra cui il nostro. Nella piazza antistante la cattedrale ci concederanno due ore. Parleranno Monsignor Bettazzi, Tom Benetollo dell’Arci e Mario Montagnani a nome della comunità dei non credenti.
Quella sera, i pacifisti ancora a Spalato organizzano una manifestazione-concerto in piazza con il coinvolgimento di cittadini, donne, anziani e bambini. Il 10 agosto 1993 una gran parte dei pacifisti rientra in Italia, mentre l’11 arriva la notizia che alcuni degli oltranzisti sono riusciti ad arrivare a Sarajevo, altri sono stati obbligati a rimanere a Kiseljak alle porte della capitale, zona sotto controllo croato-bosniaco.
Il ritorno a casa trova i pacifisti divisi. Per alcuni Mir Sada ha avuto risvolti positivi, per altri si sarebbe potuto fare molto meglio, specie dal punto di vista organizzativo. Un dato è certo: Mir Sada ha contribuito alla nascita di reti, in Italia, che produrranno un massiccio movimento di solidarietà con l’ex-Jugoslavia.